Il Vaticano secondo Francesco by Massimo Franco

Il Vaticano secondo Francesco by Massimo Franco

autore:Massimo Franco [Franco, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Political Science, Comparative Politics
ISBN: 9788852048289
Google: Wf8nAwAAQBAJ
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2014-03-10T23:00:00+00:00


Fra Celestino V e settecento anni di vuoto

«Avvenire», quotidiano dei vescovi italiani, fece un’intera pagina per analizzare le conseguenze della rinuncia. Carlo Fantappiè, ordinario di Diritto canonico alla facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre, aveva studiato nella biblioteca della Pontificia Università Gregoriana tutti i precedenti della rinuncia di Ratzinger. E raccontò a Umberto Folena i risultati problematici delle sue indagini. Partiva da papa Ponziano, nel 231 dopo Cristo, «deportato nelle miniere sarde per ordine dell’imperatore», dove avrebbe abdicato per non esporre la Chiesa. Poi segnalava alcuni casi nel VI e VII secolo, con Martino I e Benedetto V, anche se li definiva «parvenze di rinuncia». Fantappiè passava in rassegna le lotte per le investiture, le guerre spietate tra famiglie patrizie, vere campagne elettorali bagnate dal sangue. Ma «dal 1059 l’elezione viene affidata al collegio dei cardinali e da quel momento l’eventuale rinuncia deve essere comunicata a loro, come ha fatto Benedetto XVI».1

Ma come «unico esempio di vera rinuncia» il professore citava quello di Celestino V, «che prima di prendere la sua decisione si consultò con un gruppo di canonisti». Celestino V si era dimesso il 13 dicembre 1294. E davanti ai cardinali aveva richiamato le «motivazioni canoniche dell’inadeguatezza, debolezza fisica, scarsa cultura, e desiderio di vita monastica». Erano alcune delle norme stabilite da Uguccione da Pisa nel 1190 come «motivi leciti» per la rinuncia. Ma già allora la questione vera era se fosse possibile a un vescovo, che una volta consacrato «era come se stipulasse un “matrimonio spirituale” con la Chiesa, in un legame indissolubile fino alla morte», dissolvere unilateralmente questa unione. I canonisti se la cavarono nel XIII secolo legando la rinuncia alle prerogative di un pontefice. Spiegava Fantappiè che «se il Papa può tutto, da autentico monarca ha necessariamente anche il diritto di dimettersi, perché non ha limiti ... La rinuncia è valida in sei casi, che vanno dalla prostrazione fisica alla demenza fino al grave scandalo. Si escludono la codardia e la volontà di sottrarsi a una persecuzione incombente».

Il caso di Celestino V era intrigante anche per quanto l’allora pontefice aveva fatto subito dopo avere rinunciato. Fantappiè citava il racconto del monaco inglese Bartolomeo de Cotton. Il papa dimissionario «scese dalla cattedra, prese la tiara dal capo e la pose per terra, e mantello e anello e tutto se ne spogliò di fronte ai cardinali stupefatti. Lasciò la sala. Tornò in camera. Si vestì dell’abito del suo ordine monastico e si sedette sull’ultimo gradino del trono papale». Da allora, non era cambiato molto. I codici del 1917 e del 1983 venivano definiti da Fantappiè «molto semplici. La dottrina medievale e moderna aggiunge che non è possibile un co-papato. Il papa che rinuncia non può tornare cardinale se non con una nuova nomina, rinuncia a titoli e prerogative, rimane vescovo ma senza una diocesi...».

Da queste dotte spiegazioni era chiaro quello che Benedetto XVI non era più. Ma in positivo qual era la sua nuova identità? Come andava definita? Come doveva vestirsi ed essere chiamato? E soprattutto, come si



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